Il complesso archeologico di Abu Simbel è composto da due grandi Templi scavati nella roccia, al fianco della montagna, fatti erigere dal faraone Ramses II nel XIII secolo a.C., per intimidire i vicini Nubiani e per commemorare la vittoria nella Battaglia di Kadesh. Nel 1979 è stato riconosciuto come patrimonio mondiale dell’Umanità dall’U.N.E.S.C.O.
Il Tempio Maggiore
Tra i molti monumenti eretti dal faraone Ramses II il grande tempio di Abu Simbel è generalmente considerato il più imponente ed il più bello. Sulla facciata, alta 33 metri e larga 38, spiccano le quattro statue di Ramses II, ognuna delle quali alta 20 metri; in ognuna il faraone indossa le corone dell’Alto e del Basso Egitto, il copricapo chiamato “Nemes” che gli scende sulle spalle, ed ha il cobra sulla fronte. Ai lati delle statue colossali ve ne sono altre più piccole, la madre e la moglie Nefertari, mentre tra le gambe ci sono le statue di alcuni dei suoi figli, riconoscibili dai riccioli al lato del capo.
Sopra le statue, sul frontone del tempio, ci sono 14 statue di babbuini che, guardando verso est, aspettano ogni giorno la nascita del sole per adorarlo; in origine c’erano 22 statue di babbuini, tante quante erano le province dell’Egitto. Una delle statue di Ramses è senza testa, che, crollata, forse a causa di un terremoto, è rimasta ai piedi della stessa; nel crollo ha distrutto alcune delle statue che si trovano nella terrazza del tempio, rappresentanti lo stesso Faraone e il dio Horus (falco).
Da qui si entra nella sala grande del tempio, detta dei “ nobili ”, con otto pilastri quadrati coperti da rilievi raffiguranti il faraone con varie divinità. Sulle pareti c’è il Faraone mentre offre profumi ed incensi alla barca sacra di Amon, seguito dalla moglie, la regina Nefertari. Questa sala conduce al Sancta Sanctorum, contenente quattro statue sedute che guardano verso l’entrata; Ra-Harakhte (il falco con il disco solare), Ramses deificato, Amon-Ra (dio del sole e padre degli dei) e Ptah (dio dell’arte e dell’artigianato).
Grazie all’orientamento del tempio, due volte l’anno il primo raggio del sole si focalizza sul volto della statua del faraone: il 22 febbraio, giorno della sua nascita, ed il 22 ottobre, giorno della sua incoronazione. Nei successivi due o tre giorni il sole illumina anche le altre divinità, ad esclusione del dio Ptah, considerato dio delle tenebre.
Il Tempio Minore
A nord del tempio maggiore, ad un centinaio di metri, si trova il tempio, scavato anch’esso nella roccia, dedicato ad Hathor ed a Nefertari, moglie di Ramses. La facciata, larga 28 metri ed alta 12 metri, è ornata da sei statue alte 10 metri, tre ad ogni lato della porta di ingresso. Le statue raffigurano quattro volte Ramses e due Nefertari. Ai lati delle statue del faraone ci sono i figli in dimensioni minori, mentre ai lati di Nefertari sono raffigurate le figlie.
Nel 1954, il governo egiziano decise di costruire a sud della città di Aswan una gigantesca diga destinata a trasformare e modernizzare l’economia del paese ma che rischiava di sommergere, con il suo immenso bacino di raccolta, decine di edifici e di siti archeologici tra cui i templi di Abu Simbel e di Philae.
Per questo i governi dell’Egitto e del Sudan chiesero, nel 1959, l’aiuto attivo dell’Unesco dal punto di vista materiale, tecnico e scientifico per proteggere e mettere in atto i progetti di salvaguardia dei monumenti dell’antica Nubia. L’Unesco rispose lanciando un duplice appello: il primo, di ordine generale, nel marzo del 1960; il secondo, nel novembre del 1968, riguardante specificamente il salvataggio dei templi di Philae.
La Campagna aveva i seguenti obiettivi:
• Inventariazione dei monumenti della Nubia
• Individuazione di quelli a rischio inondazione
• Azione di salvaguardia dei monumenti a rischio, con lo spostamento dei siti in zone non minacciate dal rialzo del livello delle acque del Nilo. Dal 1964, il livello del aumentò progressivamente, creando un grande bacino che prese il nome di Lago Nasser, con la previsione dell’innalzamnto del livello delle acque del fiume di circa 60 metri.
Questi colossali lavori hanno permesso di rendersi conto dell’alto livello raggiunto dall’Antico Egitto sia sul piano architettonico e tecnologico, sia su quello spirituale. I Templi oggi sono la testimonianza dello splendore dell’epoca di Ramses II e al tempo stesso della perfezione tecnica dell’uomo del XX secolo venuto in loro aiuto per conservarli alle generazioni future. All’accorato appello dell’U.N.E.S.C.O. per salvare i templi di Abu Simbel risposero quasi tutte le nazioni del mondo, con sostegni finanziari. U.N.E.S.C.O. e Governo Egiziano emisero un bando per un concorso di idee che stabilissero in che modo tali monumenti andavano salvati.
• Un primo progetto, italiano, proponeva di sollevare gli edifici in un blocco unico. Sarebbero stati posti entro un cassone di cemento e sollevati, attraverso un complesso sistema di leve idrauliche. Tale progetto fu tenuto in considerazione per un certo periodo, ma poi fu abbandonato perché troppo rischioso e dispendioso.
• Un secondo progetto, francese, prevedeva di non spostare i Templi, ma di erigere una diga davanti alle facciate per impedirne l’ingresso all’acqua. Il progetto fu archiviato perché avrebbe reso i Templi completamente ciechi e privi di luce, oltre alla possibile infiltrazione dell’acqua dalla base della diga.
• Il terzo progetto, svedese, prevedeva di smontare i Templi sezionandoli in piccoli blocchi, comunque di parecchie tonnellate ciascuno. Per fare questo bisognava per prima cosa separare i Templi dalle montagne.
Fu scelto il progetto svedese che contemplava lo smontaggio dei templi mediante il taglio in blocchi e successiva ricostruzione nel nuovo sito. Per concretizzare tale progetto fu emessa una gara di appalto, a cui furono invitate le più importanti imprese di costruzione di quel periodo. Vincitrice dell’appalto fu l’Abu Simbel Joint Venture, consorzio di imprese costituito dalla “HOCHTIEF” tedesca, la “IMPREGILO” italiana, la “ATLAS” egiziana, la “G.T.M.” francese e la “SENTAB” e la “SKANKA” svedesi, a cui vennero affidati i lavori di salvataggio dei templi, con la progettazione e la direzione dei lavori affidata alla “V.B.B.” svedese, ideatrice del progetto di salvataggio (taglio dei Templi in blocchi).
Obiettivo del progetto era sezionare la montagna e spostare più indietro di circa 200 metri e più in alto di circa 60 metri. Per proteggerli dalla minaccia delle acque del Nilo che continuavano ad alzarsi, fu necessario per prima cosa costruire molto rapidamente una diga di protezione, chiamata cofferdam, lunga circa 400 metri. Poi si dovette spianare le due montagne così da liberare completamente gli edifici sacri.
Spianare la montagna voleva dire rimuovere 300.000 tonnellate di pietra senza ricorrere ad esplosivi, in modo di arrivare al livello del soffitto per separare le costruzioni dalla roccia e, in secondo momento, tagliarli.
Il taglio presentava un problema maggiore a causa della fragilità dell’arenaria in cui erano stati scavati i due Templi, Si usarono perciò seghe speciali iniettando contemporaneamente nelle cavità resine che dovevano proteggere e consolidare le lastre così tagliate.
Si dovettero taglare più di 4000 blocchi di un peso variabile fra le 10 e le 30 tonnellate. Per non correre il rischio di rovinare la facciata, e in particolare i colossi, prima dell’inizio della rimozione della parte superiore dei Templi, si coprirono di sabbia le statue.
Una volta tagliati i blocchi venivano numerati e raccolti in un’area appositamente predisposta. Ciascun blocco era stato contrassegnato da un codice di riconoscimento: una combinazione di lettere e numeri che indicavano di quale dei due tempi si trattasse, la posizione del pezzo, l’area, la fila e il numero del blocco. Una volta sollevati dalla gru i blocchi venivano depositati su un camion a rimorchio che li trasportava lentamente fino all’area di immagazzinaggio.
Tutte le macchine da cantiere – 630 tonnellate di macchinario da sterro e scavo, 135 tonnellate di compressori, martelli pneumatici e perforatori, 350 tonnellate di macchinario di sollevamento, e 610 tonnellate di veicoli – arrivarono dall’Europa, via mare. Nel maggio ’65 la gru sollevò il primo masso: aveva così inizio, un anno e mezzo dopo la firma del contratto, il vero lavoro di smantellamento.
Le facciate dei templi furono coperte con cuscini di sabbia fine per proteggerle dalla caduta di frammenti durante le operazioni di smantellamento. L’interno dei due templi fu rinforzato, invece, con una impalcatura in acciaio profilato, ingegnosamente progettata, su cuscini d’aria. Questa impalcatura avrebbe dovuto sopportare il peso dei blocchi della volta appena tagliati ed evitarne l’eventuale caduta. Le decisioni prese, in ultima analisi, stabilirono come peso massimo dei blocchi dei soffitti e perimetrali 20 tonnellate, e per i blocchi della facciata 30 tonnellate.
Inoltre, la massima estensione permessa della superficie esterna di un lato per i blocchi tagliati, doveva essere di 15 mq per i massi della facciata, 10 mq per i blocchi del soffitto, e 12 mq per i muri delle stanze del tempio. I singoli blocchi, dopo il trattamento prima del taglio e quello durante la manovra di sollevamento, furono sottoposti ad un ulteriore trattamento nell’area- magazzino dove ricevettero iniezioni rinforzanti di resina sintetica poiché l’acqua non si poteva usare in queste iniezioni per il timore di decolorare la pietra.
L’operazione di smantellamento cominciò all’inizio del ’65 con la rimozione del picco sovrastante, e lo scavo dietro la facciata che permetteva di raggiungere i soffitti dei templi. La maggior parte del lavoro di scavo doveva essere fatta senza l’aiuto di esplosivi per non mettere in pericolo i templi per via delle vibrazioni: l’unica via per i salvatori di Abu Simbel – scrive …. era quella di avvicinarsi cautamente ai santuari prigionieri della roccia, dall’alto e di fianco, non usando nient’altro che i martelli pneumatici azionati a mano. Sia l’interno sia la facciata del tempio dovevano invece essere tagliati con seghe a mano.
L’operazione di montaggio fu il trionfo dei geometri. Il loro lavoro garantiva al millimetro la reciproca posizione dei blocchi e la relazione dei due templi tra loro: il raggiungimento della posizione finale durava delle ore. Poi si passò alla ricomposizione di questo gigantesco puzzle. Ogni blocco precedentemente classificato fu ricollocato al suo posto rispettandone la posizione e l’orientamento originario, in modo che il Templi potessero conservare la loro simbologia. Anche vedere le linee di taglio è difficile, a meno di esaminare le statue molto da vicino, tanta è la cura con cui il lavoro è stato eseguito senza lasciare tracce. Per ripristinare l’ambientazione primitiva dei Templi che in origine erano dominati dalla falesia, furono costruite du volte di calcestruzzo: una porta letarale permette di accedere all’interno e di rendersi conto dell’immenso lavoro compiuto in quattro anni con tanta precisione.
I due Templi ricostruiti furono inaugurati il 2 settembre 1968 dal direttore generale dell’UNESCO, Renè Maheu.
La ricostruzione del paesaggio originale
Questa fase si mostrò più difficile e laboriosa di quanto gli esperti avessero previsto. Il restauro della roccia attorno alle facciate, così come la creazione di colline artificiali, richiesero quasi un anno e mezzo per essere completati. I templi che erano stati ora rimontati fuori dalla portata delle acque, non erano fatti per sopportare il peso delle colline sovrastanti. Il progetto così prevedeva l’erezione di archi protettivi di calcestruzzo, composti di una sezione cilindrica e sferica (in forma di quadrante).
Queste cupole avevano lo scopo soprattutto di stornare la pressione della copertura di terra dei templi, e inoltre di mantenere uno spazio vuoto al di sopra, per ragioni di ventilazione. Queste sezioni di volte sferiche non erano mai state costruite prima. La creazione delle colline del tempio ed il completamento del lavoro di paesaggio prese circa 6 mesi. Nessun altro progetto di costruzione ha mai subito una tale varietà di procedure di prova e di progetti.
La componente degli oltre 2000 egiziani ha dato il suo straordinario contributo in termini di operosità, serietà, competenza e genialità nell’esecuzione di tale opera. Ad essi va il merito di aver coronato con successo un simile rischioso lavoro senza un solo incidente.
Le forti ed intelligenti popolazioni dell’Egitto impiegate ad Abu Simbel erano a conoscenza che i loro fratelli ad Aswan erano impiegati nella costruzione della immensa diga El Saad El Aali, e con essi gareggiavano nello sforzo comune di raggiungere il proprio obiettivo; una menzione particolare va alla straordinaria opera dei restauratori, capaci di annullare le tracce lasciate dai tagli. I templi furono tagliati in migliaia di blocchi per poi essere riassemblati con assoluta precisione nei punti indicati dal progetto esecutivo. Ogni blocco ha avuto una sua storia distinta in quanto, essendo differenti per forma, dimensione e peso, richiedevano un maneggio ed una movimentazione del tutto particolari: ogni blocco è andato al suo posto come in un gigantesco puzzle. Non c’era una precedente esperienza di cui poter far uso, per cui i lavori di salvataggio sono stati caratterizzati dagli stessi esecutori.
Non bisogna dimenticare che sono trascorsi oltre 50 anni dalla data di inizio dei lavori, e che i fatti avvenuti in quel periodo sono ancora chiari nella mente di alcuni realizzatori dell’opera, attraverso ricordi e memorie, e che saranno utilissimi per il contributo che daranno a favore della serietà e credibilità della mostra.